LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE SE VAI ALL'ORIGINE DELLE SPECIE"

creata il 3 giugno 2010 aggiornata il 5 giugno 2010

 

 

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"Perché è bene che l'analista conosca Darwin"

Perché un freudiano dovrebbe interessarsi a Darwin?

Per stabilire la genealogia del mito freudiano dell’orda, spacciato da Freud per darwiniano?
No!
Per riconoscere la portata dello spodestamento dell’uomo da vertice del creato, operato dal darwinismo?
No!
Per correggere il lamarckismo non tanto latente di Freud?
No!

Allora?

Darwin dovrebbe servire all’analista a riconoscere la falsa biologia che, garantita dai successi terapeutici della medicina, sta invadendo soprattutto il campo delle neuroscienze, nonché tutto il cognitivismo e non proprio tangenzialmente anche la psicanalisi. In questi campi tale falsa biologia medicalizzata viene spacciata per scienza categorica e incontrovertibile, portatrice di dati empirici definitivamente acquisiti e incontestabili. Questa falsa biologia ha ormai guadagnato una facciata scientifica più che dignitosa, grazie anche alla collusione economica con il capitale, che su di essa trova più che conveniente investire. L’operazione è arrivata a tal punto di perfezione commerciale, nonché di sofisticato buon senso, che giustamente i miei colleghi si ribellano quando mi sentono parlare di psicanalisi scientifica. Temono che voglia importare in psicanalisi questa biologia. Giustamente si ribellano, non accettando l’intrusione in psicanalisi di una biologia che si basa su presunti geni della schizofrenia, localizzati un po’ dovunque nel genoma, e che, a partire da tecniche di neuroimaging, interpreta la depressione come misfunzionamento del circuito neurale che parte dall’area cerebrale 25 di Brodman e coinvolge l’amigdala, il lobo dell’insula e l’ippocampo. Giustamente i miei colleghi non vogliono entrare in affari con una pseudobiologia che offre al contempo all’industria farmaceutica l’opportunità di vendere farmaci antidepressivi per supplire alle deficienze di neuromediatori.
Purtroppo i miei colleghi, molti dei quali, soprattutto francesi, non conoscono a sufficienza Darwin, non sono attrezzati a riconoscere questa biologia come falsa scienza. Questa biologia non è scienza biologica perché NON è darwiniana. Questa biologia è una scienza FASULLA, una scienza di serie B, che ha il sembiante della scienza ma non ha la fecondità della vera scienza. Si tratta di una pratica epistemica di stampo cognitivo, basata sulla relazione di causa ed effetto, finalizzata al progresso della medicina e al rinforzo del suo accanimento terapeutico, che tanto bene cura non il malato ma il profitto del capitale. (Io non sono marxista, ma il funzionamento del capitale farmaceutico è ancora veteromarxista. La sua esistenza basterebbe da sola a giustificare l’esistenza di partiti politici di rifondazione comunista).
Io sto, allora, dalla parte dei miei colleghi, accanitamente antiscientifici, se per scienza si intende quella sorta di ingegneria politecnologica, a servizio della clinica medica, propagandata e promossa sulle pagine di “Scientific American” e sue versioni europee. Un tempo, nei secoli bui del Medioevo, la filosofia era l’ancella della teologia. Oggi, nei decenni bui del postmoderno, certa biologia di seconda qualità, è diventata l’ancella della medicina. Nel numero 502 di giugno 2010 di “Le scienze”, l’articolo di Thomas R. Insel, direttore del NIMH, intitolato “Circuiti cerebrali difettosi”, che pretende avvicinare la biologia – nel senso qui precisato di sottobiologia non darwiniana – alla psichiatria, conclude con questa affermazione enfatica, degna di un veteropositivista ottocentesco:
“È difficile trovare in medicina un precedente analogo a quello che sta accadendo in psichiatria. Il fondamento intellettuale di questo campo si sta spostando: da una disciplina basata su fenomeni mentali soggettivi a un’altra disciplina [oggettiva], le neuroscienze. Probabilmente la conoscenza che stiamo sviluppando rivoluzionerà la prevenzione e il trattamento della malattia mentale, portando un sollievo concreto e duraturo a milioni di persone in tutto il mondo”.

(Un approfondimento del tema della non scientificità della medicina lo trovi in

"Perché la medicina non è scientifica?")

Giustamente i miei colleghi aborrono queste dichiarazioni di fuorclusione della soggettività. A loro vorrei, tuttavia, ricordare che non hanno alcun fondamento scientifico. Sono espressioni di una pura ideologia del progresso fine a se stesso, cioè progresso del capitale. Al tempo stesso vorrei segnalare loro la possibilità di riconoscere la vera scienza, distinguendola dalla falsa, che ha molto più spazio sui media. Esattamente come loro, anch'io non amo la falsa scienza che fuorclude il soggetto, come dicono i lacaniani, perché la vera scienza non fuorclude il soggetto cartesiano del dubbio, anzi lo promuove.
Ecco, allora, almeno tre criteri per riconoscere la falsa scienza. Sono criteri necessari, buoni a escludere la falsa scienza. Purtroppo, non sono criteri sufficienti, buoni a riconoscere la vera scienza. (La cosiddetta “linea di demarcazione”, auspicata da Popper, tra scienza e non scienza, forse non esiste. Si fa scienza sempre a proprio rischio e pericolo di fallire).

Criterio zero. La vera scienza non parte da certezze dottrinarie. La vera scienza parte dal dubbio. È cartesiana. Detto per chi è allergico al significante "Cartesio", la vera scienza è congetturale. Propone congetture ed espone le loro conseguenze alla falsificazione – non alla conferma!
Purtroppo questo criterio è di difficile applicazione pratica perché l’origine dell’attività scientifica autentica è spesso riposta e non lascia tracce negli articoli pubblicati nelle riviste ufficiali dell’accademia. (L’accademia – ricordiamolo – non produce scienza. Ha semplicemte in gestione l’organizzazione della produzione scientifica. E questo incarico NON costituisce il suo interesse primario).

Criterio primo. Una vera scienza NON è finalizzata. La causa finale fu espunta dal discorso scientifico già da Cartesio. Una scienza finalizzata al progresso terapeutico della medicina non è scientifica. È applicazione tecnica. Giustamente i miei colleghi non vogliono assoggettare la psicanalisi a una tecnica biologica.

Criterio secondo. In generale, una vera scienza non è eziologica. Il criterio di ragion sufficiente, smontato in linea di principio da Hume, fu fatto decadere in linea di fatto sia da Galilei sia da Newton, i quali non cercavano le cause del moto ma i suoi modelli matematici. In matematica non si parla di causa di un teorema.

Corollario. Una vera scienza non procede per conferme ma per confutazioni. Per conferme procedono la dottrina e il delirio, in particolare il delirio eziologico della medicina, che cerca le conferme delle cause attraverso gli effetti.

Chi conosce profondamente Darwin, anche se non conosce Galilei e Newton, difficilmente ammette come criterio scientifico il principio di ragion sufficiente. La proliferazione del più adatto non è un effetto deterministico, ma essenzialmente probabilistico. Chi conosce Darwin non può adottare criteri eziologici deterministici, buoni per la diagnosi e la cura delle malattie. Chi conosce Darwin può, pertanto, parlare di psicanalisi scientifica senza pericolo di cadere nella medicina o in altre pseudoscienze.
E forse, a questo punto, bisogna ammettere che Freud, il quale ci ha proposto una metapsicologia medica per la sua psicanalisi, non conosceva molto bene Darwin.

Concludo questa pagina con una breve ma densa morale. Il vero nemico del darwinismo non è lo spirito religioso, neppure nella variante fanatica del creazionismo. Per ostacolare il progresso del pensiero darwiniano occorrono forme di autoinganno e di servilismo più sottili. L’autoinganno della medicina, travestita da scienza, è la forma di resistenza più efficiente e più versatile alla scienza. La medicina resiste a Darwin con la stessa efficienza con cui resiste a Freud. (Freud stesso con la propria metapsicologia resiste alla psicanalisi come qualunque medico).
Tanto basta a dimostrare quanto convenga allo psicanalista conoscere Darwin, non per introdurre la biologia darwiniana in psicanalisi, ma per riscoprire la vera scientificità di Freud.

*

In realtà il discorso non finisce qui. Nel momento in cui sollecito l’analista freudiano a prendere confidenza con Darwin, esce per i tipi di Feltrinelli un poco raccomandabile libretto dal titolo ormai standard Gli errori di Darwin, della serie dei fumetti americani L’errore di… Autori sono due campioni del cognitivismo d’Oltreoceano: Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor. Il primo, che si dichiara ufficialmente ateo, ha fondato a Milano l’università San Raffaele di don Verzé. Il secondo, inventore della mente modulare, è noto per aver proposto una teoria dell’apprendimento come “conferma di ipotesi”. I due compari non propongono esplicitamente il creazionismo o il disegno intelligente, ma offrono puliti e nitidi gli strumenti per concludere a favore di dottrine genericamente eziologiche (di cui il creazionismo fa parte costitutiva essenziale).
Come? In due passi.
Il primo passo è la riduzione dell’indeterminismo darwiniano, il secondo è l’attribuzione a Darwin di una tesi non sua, che combattono in modo forsennato, come don Chisciotte i mulini a vento: l’adattamentismo. Complessivamente trascurano sia le numerose sfaccettature del pensiero darwiniano (non affrontano, per esempio, la questione della struggle for existence in a large sense, per non parlare dei meccanismi di exadaptation secondo Jay Gould) sia i contributi della genetica mendeliana alla sintesi darwiniana moderna (non citano, per esempio, genetisti, ormai classici, della portata di  T.H. Morgan e Sir R.A. Fisher e citano T. Dobzhanski solo per un articolo divulgativo). La volontà d’ignoranza fa miracoli, insegna Cervantes. Vediamo quali.

Il primo passo è quello epistemologicamente più rilevante. Riduci la portata del discorso probabilistico e automaticamente porti acqua al mulino aristotelico della causa determinante – discorso al quale nessun potere rinuncerà mai del tutto. I due autori opinano che il discorso neodarwiniano sopravvaluti il momento della generazione casuale della variabilità biologica attraverso la mutazione genetica. La variabilità genetica non può essere casuale. La casualità non spiega la ricchezza del creato. La casualità non può sostituire la causalità del divino progettista. Meglio, allora, ricorrere alla BGC, la biased genetical conversion di Gabriel A. Dover – un genetista britannico, attivo negli anni Ottanta, che noi italiani ignoranti non abbiamo ancora tradotto – secondo cui la ricombinazione del materiale genetico genererebbe, in base a un ipotetico molecular drive, i genotipi (anche svantaggiosi) che successivamente si affermeranno nonostante e contro la selezione naturale.
Insomma, il gene è la causa. Aristotele la chiamava causa prima, ben sapendo 2000 anni prima di Mendel che era genetica.
Semplice, no? Direi semplicissimo e conveniente. Conveniente per chi? Ma per chi paga queste ricerche! L’eziologia porta a definire la genesi genetica della malattia mentale, schizofrenia o ciclotimia che sia, e a giustificare le varie manipolazioni farmacologiche e neurologiche, a cui ci stanno abituando le moderne neuroscienze, facendoci dimenticare dietro agli sbandierati successi terapeutici che si tratta innanzitutto di proficue manovre sul capitale. I vantaggi dottrinari per il folclore creazionista sono secondari.
Su questo passaggio, primo e primario, ci sarebbe molto altro da dire. Per esempio che l’indebolimento probabilistico – ricorrente anche in sostenitori americani del pensiero di Darwin, in un Dennett, per esempio, autore di una discutibile Darwin’s Dangerous Idea a favore di Darwin – ci porta inesorabilmente fuori dal discorso congetturale scientifico per farci atterrare nel cognitivismo di maniera. Scienza è conoscenza, è ovvio. Così si discute kantianamente di fronte al tribunale della ragione. Il diritto del più forte comanda alla scienza del più debole. Forse tutto questo non è tanto ovvio, ma passo al secondo passo.

Per i nostri don Chisciotte e Sancio Panza Darwin era “adattamentista”. (Un neologismo che non conoscevo). In realtà, adattamentisti sono loro, in quanto cognitivisti, ma il cognitivismo non è proprio il massimo per riconoscere le proiezioni che il soggetto paranoico proietta sull’altro. Il cognitivismo si fonda – è un discorso ben fondato, lui – sull’adeguamento dell’intelletto alla cosa. Per i nostri cognitivisti Darwin sarebbe… cognitivista. La specie, generata casualmente, si adeguerebbe all’ambiente in cui vive e sarebbe selezionata proprio PER adeguarsi all'ambiente. Darwin si macchierebbe così della cosiddetta fallacia intensionale (con la s, precisano opportunamente i nostri).

Cos’è una fallacia intensionale?

Per chi non sia esperto di scienze cognitive dico che la fallacia intensionale per antonomasia è la prova ontologica dell’esistenza di dio. Sai come è fatto dio: per esempio, sai che è l’essere perfettissimo, quindi sai che esiste, perché se non esistesse non sarebbe perfetto, mancando della qualità dell’esistenza. La fallacia intensionale consiste nel passare dal “come sai” al “sai com’è”. Il cognitivismo vieta questi passaggi indebiti – congetturali – dall’epistemologia all’ontologia. In pratica, il cognitivismo vieta il pensiero congetturale, in quanto non adeguato. In realtà, vieta buona parte del pensiero scientifico e non solo. Dio come congettura, nessun ateo in buona fede la vieterebbe a priori.

La fallacia intensionale di Darwin, allora?

Leggo a p. 13 del libricino fresco di stampa, tradotto dall’inglese e con appendice italiana. (L’Italia, diversamente dalla Francia e degli Stati Uniti d’America, ebbe subito una ricezione favorevole di Darwin, merito di Filippo de Filippi, torinese):

“Al cuore delle teorie adattamentiste dell’evoluzione si fa confusione fra
(i) l’asserzione che l’evoluzione è un processo in cui vengono selezionati organismi con tratti adattativi” e
(ii) l’asserzione che l’evoluzione è un processo in cui gli organismi vengono selezionati PER i loro tratti adattativi.
Sosterremo che il darwinismo è costretto a inferire (ii) da (i); che questa inferenza non è valida (si tratta di quella che i filosofi chiamano “fallacia intenzionale”); e che non c’è modo di riparare il danno in modo coerente con il naturalismo, che consideriamo il terreno comune.”

L’obiezione non è nuova. Perfino il mio maestro Lacan obiettava a Darwin di essere finalista. L’evoluzione darwiniana sarebbe critptoteleologica. (Ma anche questa è una proiezione paranoica. Lacan proietta l'intenzionalità fenomenologica sul suo avversario... inglese). Capisco Lacan che non sapeva l’inglese e non aveva potuto controllare che il significante evolution NON ricorre nell’Origin. Non capisco autori anglosassoni o emigrati negli States.
Darwin fu uomo di scienza. Propose una congettura scientifica molto debole: la discendenza con modificazioni. Alcune di queste modificazioni si rivelano feconde, nel senso che hanno più discendenti, e hanno, quindi, più probabilità di espandersi e di affermarsi rispetto ad altre, che ci sia o non ci sia selezione. Tutto ciò è scientifico perché confutabile. La dottrina inconfutabile resta appannaggio dei cognitivisti. Certo, Darwin commise degli errori. Non conosceva la genetica. Immaginava che l’evoluzione fosse graduale (gradualismo). Ma le sue furono “erranze” cartesiane più che “errori” metafisici. Furono le erranze di chi lavorava con la propria ignoranza, un’abilità che è decisamente e in linea di principio carente tra i settatori del cognitivismo.

Non la faccio troppo lunga. Non mi interessa contestare il cognitivismo. Sarebbe una battaglia di retroguardia. Mi preoccupa l’idea che i miei colleghi, già pigri ad affrontare le novità culturali, di fronte alle controobiezioni di Piattelli Palmarini e Fodor esitino ulteriormente ad aprire le 550 pagine dell’Origin. Sarebbe una nuova occasione mancata dal movimento psicanalitico per uscire dalle secche del dottrinarismo. Sarebbe la nuova e prevedibile vittoria della volontà d'ignoranza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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